15 tavole dal Polittico di Sant’Agostino, 1502-1523

smembrato dopo il 1654 e parzialmente disperso nel 1797
  • Opera: 15 tavole dal Polittico di Sant’Agostino, 1502-1523 - smembrato dopo il 1654 e parzialmente disperso nel 1797
  • Autore: Pietro Vannucci, detto Pietro Perugino (da Città della Pieve PG, 1445/50 – Fontignano, PG 1523)
  • Provenienza dell\’opera: Chiesa di Sant’Agostino a Perugia
  • Direzione dei lavori: Vittoria Garibaldi, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria. Il restauro è stato affidato alla ditta C.B.C. di Perugia.
  • Indagini scientifiche:
  • Contributo:
  • Documentazione Fotografica: Foto Studio 6 IV di Riccardo Truffarelli, Perugia

Note storiche

Il Polittico costituito da vent’otto o probabilmente trenta dipinti distribuiti all’interno di preziose cornici dorate con un fronte rivolto al coro e uno alla navata. La grande“macchina d’altare” si completava con la “capsa” un raccordo tra la macchina e le pareti dell’abside,fino a sbarrare completamente il coro cui si poteva accedere solo attraverso due aperture laterali secondo il disegno affidato dallo stesso Perugino a Giovan Battista di Cecco di Matteo, detto Bastone, esecutore della “capsa”.Le due tavole maggiori erano il Battesimo di Cristo rivolto verso la navata e l’Adorazione dei Pastori rivolto verso il coro; la collocazione delle opere restaurate da A.R.P.A.I. è presentata nella scheda introduttiva.

La grande “macchina d’altare” fu smembrata a partire dal 1654 in più parti e privata della incorniciatura architettonica originaria. La dispersione definitiva del polittico avvenne in epoca napoleonica , quando nel 1797 alcuni pannelli furono requisiti e portati in Francia: la tavola con San Sebastiano e Sant’Irene si conservano oggi a Grenoble, quelle del San Giovanni Evangelista(?) e di Sant’Agostino a Tolosa, quelle di Sant’Ercolano e San Giacomo Maggiore sono a Lione, il Santo giovane con la spada al Louvre. Il tondo con la Vergine Annunciata era conservato a Strasburgo ma è andato distrutto in un incendio del 1870-1. La tavola con San Bartolomeo passò attraverso il mercato antiquario e si trova oggi a Birmingham (Alabama, Coll. Kress). Le altre tavole subirono sorti diverse. La Pietà fu concessa ai benedettini di San Pietro a Perugia nel 1816, come compenso per l’asportazione di un Sassoferrato, i tondi degli Evangelisti rimasero nella chiesa di Sant’Agostino, mentre le rimanenti diciannove tavole entrarono a far parte del Patrimonio dello Stato Italiano.

Gli esiti dell’ultimo restauro permettono oggi di affermare che la macchina lignea fu montata per fasi temporali successive, probabilmente man mano che il pittore realizzava i dipinti che andavano ad in-serirvisi.

Il restauro delle opere del polittico di Sant’Agostino conservate in Italia è stato condotto, in modo sostanzialmente continuativo, tra il 1993 e il ’95. La fortunata collaborazione tra Soprintendenza e A.R.P.A.I. (già Comitato italiano del World Monumento Fund) ha consentito di affrontare, per la prima volta in un unico omogeneo intervento, il restauro di ventiquattro delle opere che componevano il grande polittico a due facce: le diciannove tavole conservate nella Galleria Nazionale dell’Umbria, la Pietà del coronamento ceduta nel 1816 alla Chiesa di San Pietro, i tondi con i quattro Evangelisti conservati nella Chiesa di Sant’Agostino: alcune tavole ingrandite (ad esempio il San Gerolamo e Maria Maddalena), comunque ridipinte, per nascondere le forme centinate, tutte quelle del fronte verso il coro come l’Adorazione dei pastori, così da essere adattate a singole pale d’altare. Nelle opere conservate nella Galleria le parti spurie sono già state rimosse nel restauro del 1957. Di grande interesse è stato quindi il confronto con la Pietà che, probabilmente non più toccata dal 1816, recava ancora la ridipintura completa dell’impianto architettonico a celare gli ampliamenti laterali.

Le piccole tavole della predella, su cui l’intervento novecentesco si è limitato ad una sommaria revisione estetica, ci sono giunte in condizioni assai più compromesse rispetto alle tavole grandi, il che testimonia una vicenda conservativa distinta per questi pezzi che furono a lungo parte dell’arredo della sacrestia.

Di più difficile interpretazione è la vicenda del Battesimo di Cristo: in origine il clipeo doveva recare un Padreterno, di cui restano tracce minime, ma sufficienti per una identificazione certa; esso fu sostituito in un secondo tempo con lo Spirito Santo, per ovviare alla anomalia iconografica della presenza di due figure di Eterno benedicente sullo stesso fronte del polittico; forse più tardi, per mascherare i danni di una drastica rimozione meccanica, la parte alta fu pesantemente ridipinta a ricostruire il clipeo ed i raggi dorati intorno alla colomba, ma questa ridipintura fu rimossa già nel restauro del 1957, e l’attuale intervento non ha potuto far altro che prendere atto della situazione, limitandosi ad attenuare i fastidi visivi più macroscopici.

L’affrontare unitariamente il restauro di tante opere eseguite in un tempo singolarmente dilatato, ma pertinenti ad un unico grandioso progetto artistico, è stata un’occasione unica per analizzare più a fondo l’evoluzione nei modi e nella tecnica del dipingere del Perugino tardo, nonché per puntualizzare i dati su cui basare un’ipotesi ricostruttiva del polittico. L’indagine accurata sui supporti, che si è avvalsa anche dell’analisi xilocronologica e del confronto con le radiografie, ha dato alcuni risultati non indifferenti per lo studio della composizione originaria, pur in assenza di dati indicativi relativi ai sistemi di montaggio e ancoraggio dei singoli pezzi nella macchina. Risulta per prima cosa avvalorata l’ipotesi di un’esecuzione unitaria dell’intera carpenteria, vista la sostanziale omogeneità del legname utilizzato (pioppi coevi dell’Italia centrale), nonché dei modi di lavorazione (spessori, traverse e accorgimenti tecnici come le tassellature lignee in corrispondenza di nodi).

Si è poi acquisita la certezza che i quattro dipinti del registro superiore (Arcangelo Gabriele, Vergine Annunciata, San Bartolomeo e Santo con la spada) erano in origine rettangolari: è probabile che essi siano stati ridotti in forma rotonda, segandoli e aggiungendo il settore di cerchio mancante, per uniformarli come dimensioni ai quattro tondi con gli Evangelisti, così da avere una teoria di otto dipinti omogenei.

Un altro dato importante è che le due figure di Daniele e David erano in origine dipinte sulle due facce di un’unica asse, con le fibre disposte a 45°, dato che porta ad individuarle con sicurezza come elementi laterali del coronamento; nello smembramento del polittico la tavola fu tagliata in tondo lungo il bordo esterno della cornice dorata e poi longitudinalmente per separare i due dipinti. Può essere che l’altra simmetrica coppia di figure non sia sopravvissuta alla drastica operazione. Tra le manomissioni dei supporti subite dalle varie parti del polittico si può poi citare la piallatura delle otto tavolette con figure di Santi della predella: la diminuzione di spessore doveva essere funzionale alla loro applicazione agli sportelli degli armadi della Sacrestia.

Il confronto tra quanto osservato durante il restauro, la riflettografia IR e la radiografia ha permesso di acquisire nuovi dati sulle tecniche del disegno preparatorio e sui modi di condurre la pittura. Dal disegno preparatorio piuttosto accurato, probabilmente trasposto da cartone, delle tavole più antiche (Battesimo, Arcangelo, predelle) si passa ad un disegno a pennello via via più libero, con forti indicazioni chiaroscurali, sempre più visibili per l’aumentata trasparenza delle stesure di colore, quasi “acquerellate” nelle ultime opere.

Le misure della fluorescenza X, correlate a indagini su una mirata campionatura in sezione stratigrafica, ed estese per confronto anche ad altre opere del Perugino, consentono di individuare materiali e tecniche della pittura. Alla preparazione del gesso e colla si sovrappone una imprimitura a legante oleoso, bianca o leggermente colorata con giallo di piombo e stagno o terra verde. Fanno eccezione i due dipinti che raffigurano Daniele e David: questi in realtà erano parte integrante dell’apparato decorativo della cornice e come tali sono eseguiti a tempera su una semplice preparazione a gesso e colla. Nelle altre tavole la pittura è condotta ad olio con stesure brillanti e limitate sovrapposizioni. Le campiture dei cieli, in particolare nella prima stesura di abbozzo, hanno impasti corposi, mentre i panneggi, e ancor più gli incarnati, sono costruiti con stesure sottili utilizzando per trasparenza il tono dell’imprimitura. Il dato è via via più evidente nelle opere più tarde.

Le indubbie differenze stilistiche e tecniche tra i dipinti erano in parte sottolineate, in parte annullate, dal diverso stato di conservazione delle opere e dai disomogenei interventi subiti in passato. Il restauro, ponendosi come vera e propria “edizione critica”, ha teso, con cautela e attenzione all’intelligenza del testo, a restituire omogeneità di lettura all’interno complesso, rispettando le differenze legate al percorso tecnico artistico dell’autore.

Note storiche e critiche tratte dalla documentazione fornita da: V. Garibaldi, Archivio A.R.P.A.I. e V. Garibaldi, in V. Garibaldi e F. F. Mancini (a cura di), Perugino il divin pittore, SilvanaEditoriale, Cisinello Balsamo (MI) 2004, pp. 292-294.

Note sul restauro dalla documentazione fornita da: Assja Landau, Archivio A.R.P.A.I.

Luogo dell'Opera